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Maniscalco Maldestro, musicisti per lavoro. Petizione pubblica

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Maniscalco Maldestro by Simone Stanislai

di Riccardo Tronci

 

#MANISCALCOMALDESTRO. AAA cercasi major capace di un minimo di coraggio e onestà intellettuale, voglia di fare cultura e non sederi, voglia di suono e non di suore. Che mandi al diavolo con un album i talent show e ci regali un po’ di vero divertimento. Non ce ne voglia Morgan, la musica non si fa con i tagli di capelli e lui lo sa bene.

“In Italia quando alla domanda “che lavoro fai?” rispondi “musicista”, segue sempre un: “ma io non intendevo qual è il tuo hobby, ti chiedevo qual è il tuo lavoro vero!”

In Italia si reputa che fare il musicista sia una perdita di tempo, un non lavoro, e che solo e soltanto se sei passato dentro quello scatolone magico chiamato TV, magari a Sanremo, in quanto famoso tu possa essere considerato artista / musicista”. (A differenza della Germania nda)

 Maniscalco Maldestro by Simone Stanislai

Maniscalco Maldestro by Simone Stanislai

Maniscalco Maldestro, una creatura dallo sguardo sinistro, dal lungo naso, volto sormontato da uno strano cappello quasi elfico. Un mandolino e una chitarra elettrica, ritmo di walzer, pianoforte, distorsione e voce graffiante.

Di “maldestro” i quattro di Volterra hanno ben poco: il genio, il ritmo, l’originalità e la passione si fondono a creare un sound unico, mai ascoltato in precedenza. Davvero non poco per dei maniscalchi, gente che più che forgiare zoccoli e ferri per cavalli sembra poter fare le scarpe a molti “big” della musica. Eppure non funziona proprio così. Premi, continui successi di critica, partecipazioni a eventi rinomati come Heineken Jammin’ Festival e tournée fuori d’Italia non li hanno portati alla ribalta delle classifiche. Colpa di un mercato che non ha più il coraggio di investire e preferisce al talento vero, cliché e talent show. Un panorama che preferisce servire suore che cantano “like a virgin” a Maniscalchi capaci davvero di regalare emozioni. Tu chiamale se vuoi delusioni.

Quattro ragazzi nati a Volterra “un posto ricco di storia e cultura, ma dove trovi davvero poco da fare. Quando sei adolescente o giochi a pallone, suoni o ti droghi- raccontaTonjo, cantante e chitarrista del gruppo- Per noi sono valse le ultime due cose. Ci siamo incontrati in quel magico posto che era il Chiarugi, un padiglione dell’ex ospedale psichiatrico, dove circolavano numerosi artisti e musicisti volterrani”.

Dopo qualche tentativo e passando in rassegna un po’ di cover degli anni ‘90, ecco l’inizio. Un inizio all’insegna della genuinità e della ricerca, i primi passi sono forse un poco ingenui, ma il sound iniziale già strutturato, anche se non scevro da influenze esterne. Il 2009 è un anno cruciale, il gruppo mostra una prospettiva musicale ben definita, un suono corale e capacità espressiva realmente singolare. La voce trova la giusta intonazione, collocandosi tra il parlato e il graffiante, la passione e la gioia di suonare si ergono a manifesto di un genere che in Italia nessun’altro percorre.

Nel 2005 era già uscito un disco omonimo, (“Maniscalco Maldestro”, per l’etichetta Videoradio), una sorta di raccolta di pezzi scritti negli anni, al variare della formazione, la celebrazione di un inizio, ma anche di una fine, stupefacente per la ricchezza inedita di canzoni come “Metamorfosi plausibile” o “Fase 5 metabolismo” (due singoli volati entrambi per ben quattro settimane alla numero uno di Rock FM tra le migliori uscite italiane). La coda di successi sembra inarrestabile nel 2008, quando il Maniscalco Maldestro vince il contest per Heineken Jammin’ Festival, il Talent Scout del M.E.I. e Italia Wave band toscana.

 Maniscalco Maldestro by Simone Stanislai

Maniscalco Maldestro by Simone Stanislai

Il 2009 è la conferma, con “Panna, polvere e vertigine” (per la Fattoria Maldestra, etichetta di proprietà dello stesso gruppo): “La mia vita in ozio” e “Sorridi al muro” travolgono, costringono a saltare, rompono gli schemi tra partenze, ripartenze, false attese, sperimentazioni e incursioni cross over. Nomi importanti tra le partecipazioni, da Marco Bachi (Bandabardò) a Maurizio Geri (Caterina Bueno / Banditaliana). Il plauso dei critici, dalle fanzine ai più importanti rotocalchi di musica fino agli stessi quotidiani, come L’Unità, non si fa attendere, il pubblico è entusiasta, la strada sembrerebbe aperta. E invece no. Fuori ancora non è tempo di suore, ma in compenso gli unici a produrre suoni interessanti con una certa risonanza sono i giganteschi miti e dinosauri di epoche passate. Del resto “mi sarei accontentato anche di una co-produzione da parte di una indipendente– ci dice ancora Tonjo- invece il maniscalco maldestro si è quasi sempre autoprodotto. Nel nostro percorso non abbiamo mai trovato una realtà discografica o una forte agenzia di booking che credesse nel nostro potenziale. La risposta più frequente che ho ricevuto alla proposta di collaborazione è stata che il nostro progetto è difficilmente collocabile”. Tra il grande stream devoto a grandi nomi di discutibile originalità e talento e un mercato indipendente (“una bandiera, va dove tira il vento, non propone e non innova niente, non investe su progetti diversi dal canone del momento”) la scelta spesso è quella dell’autoproduzione, con la conseguenza che il mercato musicale è di fatto sostenuto dai musicisti stessi.

Passano tre anni, sul palcoscenico internazionale regnano ancora le stesse facce, e per il Maniscalco Maldestro arriva il momento di mettere “Ogni cosa al suo posto”. E ci riesce. Il suono corale, fluido, maturo, ricercato ma efficace, ci regala una perla unica in tutto il panorama italiano. Se la critica continua a plaudire per l’ennesimo capolavoro del gruppo, il silenzio delle major pare unanime. Eppure “Accendo la tv”, “Ogni cosa al suo posto” e “La stoffa del campione” sembrano scritte per sorpassare nelle playlist radiofoniche qualsiasi gruppo alla ribalta che abbia lasciato per strada la passione. L’attenzione alle parole, i giochi di senso e significato dominano testi di vera comunicazione.

Con “Solo opere di bene” viene il momento di mandare tutti al diavolo. Suore comprese, questo lo aggiunge chi scrive. E’ un capolavoro. Avete sentito? Il tiro dell’apertura, con “Cervello in fuga” è ritmo puro, capace di riscoprire l’attitudine al ballo anche dentro i pezzi di legno, “Confessioni di un italiano medio” è sensazionale. Il filo continuo che lega generi differenti con sapienza magistrale rende fruibile l’ascolto per chiunque, nascondendo parzialmente uno studio e un’attitudine alla sperimentazione non ancora pervenuta sui palcoscenici più noti d’Italia.

“Per voi, lettori di zest.today una perla, rara, che abbiamo ripescato in un mare ormai inquinato da falsi fenomeni e finti cantanti, il demo del 2001. Buon ascolto. Anzi. Maldestro ascolto a tutti voi.”

 

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