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La solitudine dei numeri primi, l’abbandono del lettore

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di Riccardo Tronci

 

La solitudine dei numeri primi, Paolo Giordano. Un titolo geniale, che vorresti aver pensato per primo, un’immagine che fa tenerezza, in un mondo freddo e spesso inanimato, quello della matematica. La solitudine dei numeri primi, vien voglia di leggerlo. Eppure…

Un gran peccato arrivare in ritardo. Scaduto il tempo ormai da sette lunghi anni, un libro, uno dei pochi, rimasto lì, sulla libreria, non letto. Nel frattempo incredibili dopo cena con Amelie Nothomb, passeggiate e scherzi con Kurt Vonnegut, voli pindarici con Douglas Adams e foga di leggere riguardo a un seggio vacante con la Rowling. E molto, molto altro ancora, tantissimi libri e innumerevoli autori, alcuni baciati dal dio della scrittura altri meno.

La solitudine dei numeri primi” era lì dal 2008. Nuovo. Un titolo geniale, sorprendente, che lascia immediatamente pensare a un capolavoro, a un nuovo Ammaniti capace, chissà come, di andare anche oltre. Se passate il gioco di parole, di scrivere quantomeno “come Dio comanda”.

Ci sono voluti non più di cinque o sei giorni a leggerlo. E a non provare assolutamente niente una volta chiuso. Un libro inutile. Clamorosamente inutile. E nemmeno scritto bene. Scorrevole, ma se pensiamo al fatto che oltre a un autore deve aver lavorato su quelle righe anche un editor, il risultato finale è quasi penoso. Troppe frasi tratte dal parlato inserite in contesti impropri, troppi riferimenti complessi in pagine assolutamente informali. Un frullato. Riscaldato. Un titolo che doveva andare oltre ha semplicemente funzionato quanto un fuoco d’artificio fabbricato male. Un gran fuoco pirotecnico, un gran puzzo, per poi rimanere dov’era, al suolo.

Sono due le storie, intrecciate, di Mattia e Alice. Due persone problematiche che trovano difficoltà ad affrontare la vita e bla bla bla. Il tutto descritto con una tale ingenuità che lascia pensare a temi delle medie o al massimo della prima superiore, scritti da quelle adolescenti prese dal proprio mondo crudele, che si lasciano andare alla penna e descrivono ai professori universi in cui sognerebbero finalmente di poter sbocciare. Con la sola differenza che il lavoro di un professore è retribuito e che le adolescentine non vinceranno il Premio Strega e quello Campiello.

Già, i due premi più ambiti della letteratura italiana, vinti da una soap opera adolescenziale scritta da un Moccia col dono della matematica. Buon per lui, ma l’unica cosa che si può pensare una volta chiuso il libro è: a ognuno il suo mestiere. Se il tuo è fatto di numeri scrivi con quelli, non andare ad infangare il già tanto violentato mondo della letteratura. Che le grandi case editrici sono sempre alla ricerca di un ragazzetto carino, forse introverso, a cui far vincere qualcosa per poter autoalimentare un’industria che produce, ahimè, cultura solo di riflesso. Il caso letterario. Che poi porta a un film. Che poi porta ad ulteriori vendite di un libro assolutamente mediocre.

Non stupisce che in Italia si legga poco: se la pubblicità, la tendenza, il momento proponessero solo robetta del genere (peraltro a un prezzo salatissimo), a nessuno verrebbe voglia di leggere. Meglio un’allegra scampagnata fuori.  Magari in compagnia di Vonnegut, che quando dice che siamo fatti per sorridere e cazzeggiare in fondo ha solamente ragione.

Per cui, gentilissimo Paolo Giordano, non prenda questa recensione male, se mai la leggerà. La custodisca dentro di sé, e vada al mare, come consigliano a Francesco Abate nel suo  libro (scritto bene e che le consiglio) dal titolo “Chiedo scusa”. Un titolo che, se avesse il suo endorsement, lascerebbe certamente capire qualcosa in più, magari lascerebbe intravedere un po’ di umiltà, che non guasta mai. Invece di un nuovo rilegato, chieda scusa e torni ai numeri primi. Da un’idea geniale, da un titolo roboante, non sempre nascono fiori. Per quelli ci vuole un po’ di merda, lo diceva uno che scrivere sapeva davvero. Per lei un saluto senza rancore, solo un poco di fastidio, con Piero Ciampi: “Ma non la conosci l’educazione? Portami una sedia e vattene”.

La primavera sta finendo, l’aria si fa afosa. Vonnegut ci aspetterebbe sotto un albero a sorseggiare limonata, mentre Jean Giono in Provenza, al fresco, a seguire le tracce di un lupo. Paul Auster sta già allestendo il circo che vedrà un bambino volare. Mentre i numeri primi giacciono in soffitta, nel manuale di matematica delle medie.

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