Fast fashion vs slow fashion, è ora di cambiare
di Paula Elena Liguori
Fast fashion vs slow fashion, è ora di cambiare
Siamo di corsa e spesso con i tempi scanditi. Abbiamo strumenti elettronici con i quali siamo costantemente collegati al mondo, ci fermiamo forse nei fast-food o compriamo cibi preconfezionati, saliamo al volo sulla nostra auto o su altri mezzi di trasporto. È una vita più veloce e a volte stressante, ma anche più agiata e vantaggiosa di molti anni fa e ha i suoi lati davvero positivi.
Tutto è cambiato negli ultimi 30 anni, anche la moda ha subito importanti cambiamenti, pure lei è diventata una fast fashion e soprattutto di largo consumo. E la slow fashion che fine ha fatto? Lo scopriamo con calma.
Apriamo i nostri armadi per cambiare abbigliamento a seconda del tema della giornata, naturalmente del tempo o semplicemente a causa dell’umore o di un capriccio. I nostri guardaroba non sono mai abbastanza grandi e sfogliando le riviste o navigando nel web siamo costantemente tentati a comprare un altro vestito, un’altra maglietta, un altro paio di scarpe. Tanto oramai basta un click e riceviamo i nostri acquisti direttamente a casa.
Speriamo che quel giallo sia davvero così brillante come nella foto e speriamo anche che il tessuto non si rovini al primo lavaggio. Spesso pensiamo che per quel che costa se anche dura poco ne compreremo un altro. Soddisfiamo rapidamente i nostri desideri d’acquisto e i nostri desideri di vanità e novità.
Il rovescio, non trascurabile, della medaglia è che è giunta l’ora di fare i conti con alcune delle nostre abitudini che maggiormente compromettono la salute del nostro pianeta e d’immediata conseguenza anche la nostra.
Essendo io nel settore della moda oggi vi parlo di due modi di viverla e quali differenze sostanziali ci sono: fast fashion VS slow fashion.
Fast Fashion, cos’è
Fast fashion è un termine coniato nel 1989 dal New York Times in occasione dell’apertura del primo negozio Zara a NY.
Il fast fashion viene definito dal dizionario Treccani come la capacità di alcune aziende di immettere sul mercato un prodotto in tempi molto brevi (detto anche moda veloce).
Con fast fashion si intende infatti un metodo di produzione di abiti di bassa qualità a prezzi molto bassi e che prevede il lancio di nuove collezioni continuamente e in tempi brevissimi.
Quindi l’industria del fast fashion (o anche usa e getta) produce il più velocemente possibile collezioni di capi in serie, economici di medio/bassa fattura per soddisfare la richiesta crescente e costante dei consumatori. Per tenersi al passo con le tendenze si acquistano continuamente a prezzi stracciati capi che sembrano di Haute couture e che si rovineranno in fretta.
La madre di tutte le mode consumistiche è “fare shopping”. Una tendenza nata verso la fine degli anni ’90 quando grandi rivenditori come Zara e H&M hanno iniziato la vendita online dando la possibilità di comprare un capo d’abbigliamento in qualsiasi momento.
Fast fashion, cosa comporta
Iniziamo con il tema dello sfruttamento di esseri umani, lo schiavismo e il lavoro minorile che sono aumentati per sostenere questa industria. Viene utilizzata manodopera a basso costo in paesi dove le leggi sul lavoro equo sono facilmente eludibili, come il Bangladesh, la Cambogia e l’Indonesia. I lavoratori vengono pagati con un salario alquanto misero di circa 90 dollari al mese pur lavorando 13 ore al giorno. In questo modo gli indumenti possono essere prodotti in quantità molto grandi a prezzo decisamente inferiore.
Chiediamoci il perché alcuni capi d’abbigliamento costano così poco.
Oltre allo sfruttamento di esseri umani c’è un altro tema molto scottante da valutare: l’inquinamento.
Ogni stagione esce una nuova collezione e troppe volte i capi dell’anno precedente finiscono per essere buttati via. Quando scattano i saldi in molti danno l’assalto a negozi fisici e virtuali per riempire le borse di abiti comprati a basso costo.
Queste abitudini di moda nel fast fashion hanno indubbiamente un impatto sull’ambiente e sul genere umano che devono essere capiti meglio. Molte persone non si rendono conto dello spreco generato dai loro guardaroba.
Il fast fashion ha raddoppiato la quota di abiti presenti nei nostri armadi, dal 1975 al 2018 siamo passati da circa 6 kg a circa 13 kg di abiti a persona (fonte Focus).
Oggi i marchi di moda producono quasi il doppio delle quantità di abbigliamento che venivano prodotte prima del fenomeno “shopping”. Si consumano ad oggi circa 62 milioni di tonnellate di prodotti tessili all’anno, si prevede che entro il 2030 si raggiungeranno i 102 milioni di tonnellate (fonte LifeGate).
Questo incide notevolmente sul volume dei rifiuti da smaltire, dando origine a discariche colme di abiti-spazzatura.
Fast fashion, le fonti dello spreco a casa nostra
Calcoliamo solamente la merce invenduta che viene rispedita al magazzino centrale della ditta produttrice. L’azienda può scegliere se portare il reso in discarica o negli impianti con inceneritori.
Nel 2018, H&M è rimasto con una quantità di invenduto pari a 4 miliardi e 300 milioni di dollari. La maggior parte di quei vestiti, si legge su un articolo di Huffingonpost, era stata realizzata con tessuti sintetici di pessima fattura. La merce invenduta è stata bruciata generando fumi tossici .
I materiali principalmente usati dall’industria del fast fashion sono il cotone e il poliestere.
Il cotone, per quanto sia un materiale naturale e per coltivarlo vengono utilizzati meno inquinanti chimici, richiede un uso spropositato di acqua per la sua lavorazione, ne sono necessari circa 2.700 litri per produrre una singola T-shirt.
Per quanto riguarda il poliestere andiamo dritti al punto. Per la produzione del poliestere e dei suoi derivati viene usato il petrolio, contribuendo all’inquinamento delle acque in modo abnorme. Senza contare che tutta la tintura dei tessuti sia in cotone che sintetici avviene con l’uso di prodotti coloranti chimici tossici che entreranno a contatto con la nostra pelle.
I tempi di produzione del fast fashion sono brevissimi per stare al passo con le nuove collezioni che sostituiscono quelle precedenti. Così come molte volte facciamo noi quando cambiamo look al nostro guardaroba, molti capi delle collezioni precedenti spesso finiscono per essere buttate direttamente dalla catena di distribuzione.
I prodotti dell’industria tessile occupano il 5% delle discariche globali.
Le dune di Atacama, in Cile, sono diventate un enorme cimitero a cielo aperto di vecchi indumenti. Una vera e propria montagna di 39mila tonnellate di prodotti fast fashion, modello di sviluppo sempre meno sostenibile Repubblica
La tv network CBS a settembre 2021 ha messo l’attenzione sul mercato di Kantamanto in Ghana dove arrivano ogni settimana circa 15 milioni di capi di abbigliamento usati raccolti dai Paesi occidentali. L’intera popolazione del Ghana è poco più di 31 milioni. Si stima che il 40 per cento di tutte le balle di abbigliamento inviate in Ghana finisca nelle discariche (fonte FashionforFuture).
La gestione della moda ad oggi causa il 10% delle emissioni di carbonio. Le più di 92 tonnellate di rifiuti degli abiti prodotti in serie, si legge su LifeGate, rilasciano nell’aria una quantità non trascurabile di gas serra e di pesticidi, ogni tonnellata di rifiuti produce a sua volta 37 tonnellate di anidride carbonica. Secondo le stime di Ispra il 5,7% dei rifiuti indifferenziati è composto da rifiuti tessili, si tratta di circa 663mila tonnellate/anno destinate a smaltimento in discarica o nell’ inceneritore e che potrebbero essere, in grande parte, riutilizzate o riciclate.
La Fondazione Ellen MacArthur ha stimato che meno dell’1 % di tutti i prodotti tessili nel mondo siano riciclati in nuovi prodotti. Ci auguriamo che qualcosa cambi.
Così come l’aria anche l’acqua viene sprecata e inquinata.
Il business della moda consuma 1.500 miliardi di litri d’acqua all’anno, è responsabile di circa il 20% dello spreco d’acqua mondiale e riversa nell’acqua stessa ingenti quantità di coloranti e di sode caustiche. Circa il 35 per cento delle microplastiche che popolano gli oceani è riconducibile ai lavaggi dei capi in fibre sintetiche.
Forse il fatto che la lavorazione di enormi quantità di capi d’abbigliamento inquini pesantemente l’ambiente e che grandi industrie scarichino tonnellate di rifiuti in discariche sembra non essere di nostra competenza, ma la fonte dello spreco inizia a casa nostra.
Dirigiamo lo sguardo nelle nostre dimore e prendiamo in esame un rifiuto che generiamo direttamente proprio noi, ogni volta che ci sbarazziamo di un abito inutilizzato. Ci liberiamo di un capo perché magari è passato di moda, perché si è rotta la cerniera o ci hanno già visto indossarlo troppe volte, perché non sappiamo come abbinarlo oppure è legato a ricordi spiacevoli. Ci liberiamo di una capo anche semplicemente perché è usurato. Rendiamoci conto che capi di abbigliamento realizzati con materiali scadenti si usurano in fretta, di conseguenza ne vengono buttati via molti.
Forse è arrivato il tempo di cambiare? Le grandi aziende producono in massa, ma noi non siamo costretti a comperare. Iniziamo a considerare che anche le nostre abitudini di consumo determinano il comportamento delle grandi aziende. Informiamoci di più, informiamoci meglio, chiediamo più sostenibilità e rispetto dell’ambiente.
Perché non considerare che c’è un altro modo di vestirsi, meno consumistico. Lasciamoci sedurre da una moda meno convulsa e più di qualità. Recuperiamo alcuni valori personali e riscopriamo il fascino dello slow fashion, quello basato su un uso consapevole dei prodotti e fatto attraverso i rapporti con le persone e, non per ultimo, che dia sostegno alla manodopera italiana.
Slow fashion, cos’è e come viene prodotto
Slow fashion, cos’è
Questo è un termine inglese che tradotto significa “moda lenta”, indica un diverso approccio al consumo che diventa più consapevole e tiene in considerazione la salvaguardia ambientale e il miglioramento delle condizioni lavorative di chi produce capi e accessori.
Il concetto di fast fashion e slow fashion si può velocemente capire se paragonato al fast food e al cibo casalingo o artigianale.
Il fast food è cibo prodotto all’ingrosso così come il fast fashion è l’ultima collezione velocemente reperibile, prevalentemente molto economica, ma sicuramente meno sana per l’ambiente.
Lo slow food è quello prodotto a casa propria o da medio/piccoli artigiani, così come lo slow fashion è quello delle aziende che producono i capi di collezioni creati con materiali più ecosostenibili; ma lo slow fashion è anche quello dell’arte italiana dei nostri artisti sul territorio come gli stilisti, i sarti o le sarte.
Prima del fast fashion si compravano vestiti nuovi per le necessità, i cambi di stagione e gli eventi. Gli abiti erano confezionati in modo artigianale si acquistavano meno vestiti ed erano più costosi, ma di migliore fattura e più durevoli. Si organizzava il guardaroba e il budget per gestirlo e in molti casi non si spendeva molto di più di quello che si spende oggi per cambiare velocemente guardaroba.
Non ci addentriamo qui sull’importanza di creare benessere sul nostro territorio lasciando che i nostri soldi supportino i nostri imprenditori; ma ribadiamo che scegliendo una moda più lenta si decide di acquistare meno capi che abbiano una durata più lunga, dando importanza alla qualità e alla maggiore sostenibilità. Questo non significa che il nostro guardaroba diventerà noioso, perché le grandi aziende iniziano a creare collezioni in questa categoria e i nostri bravi artigiani potranno creare, rivisitare o modificare i nostri capi.
Slow fashion, la produzione industriale
Nella produzione industriale dello slow fashion vengono usati sistemi chiusi per l’acqua, così che possa venire riutilizzata e ridotta la dispersone di colori nelle acque di scarico. Le fabbriche di abbigliamento si trovano in Paesi sviluppati, garantiscono condizioni di lavoro adeguate e un salario dignitoso a dipendenti che abitano nell’immediata prossimità della sede e i tessuti che utilizzano sono realizzati maggiormente con materiali ecologici o riciclati.
Questo non significa necessariamente che i brand che hanno abbracciato questo approccio di produzione non badino ai trend di moda. Sempre più etichette stanno adottando questo approccio realizzando abbigliamento che non perde le sue caratteristiche tattili e visive dopo pochi lavaggi. Questi capi non passano di moda così rapidamente diminuendo notevolmente il consumo e l’inquinamento. Molti marchi nel mondo stanno anche adottando una produzione made-to-order, realizzando capi di abbigliamento, accessori e scarpe solo su ordinazione ed eliminando la possibilità di invenduto.
Come non ricordare la pioniera dello slow fashion industriale, Stella McCartney che lanciò la sua “luxury label” nel 2011, con l’obiettivo di offrire capi alla moda ma prodotti senza derivati animali. Da questa iniziativa è risultato lo shaggy deer, un tessuto che sembra camoscio ma non lo è.
Philippe Model, un brand di calzature italiano, ha presentato per la primavera estate 2021 Lyon, una sneaker a basso impatto ambientale che utilizza materiali animal-free, riciclati e bio-based.
Il brand Patagonia è specializzato in abbigliamento tecnico outdoor e realizza anche piumini eco friendly con imbottitura la cui piuma è 100% tracciabile.
Anche Asos, Zara e H&M stanno realizzando intere collezioni alla moda ecosostenibile, prodotta con fibre naturali attraverso una filiera protetta, per minimizzare gli sprechi, l’inquinamento e lo sfruttamento dei lavoratori.
Scegliendo lo slow fashion non si acquista solo un vestito, ma si decide di acquistare di meno con maggiore qualità avendo la certezza di una durata più lunga.
Slow fashion nella nostra vita e sul nostro territorio
Riduciamo
Compriamo in base alle reali esigenze quello di cui abbiamo bisogno. Ridurre significa non comperare vestiti che non sono necessari, significa comprare meno. Impariamo anche a comperare i prodotti da acquistare in base al rapporto qualità/prezzo ma soprattutto in base alla loro storia e al comportamento delle imprese produttrici e distributrici. Scegliamo abiti di fattura migliore che siano più durevoli, che rispettino maggiormente l’ambiente. Limitiamo i capi l’abbigliamento che necessitano di essere lavati a secco con uso di solventi organici al posto dell’acqua. Freniamo gli impulsi e impariamo a scegliere capi che possano essere abbinati a numerosi outfits. Organizziamo il nostro guardaroba, acquistiamo più prodotti da linee ecosostenibili e anche da produttori locali o artigianali. Ciò porta benefici a noi stessi e all’ambiente che ci circonda.
Ricicliamo
Ci sono sempre più negozi che commerciano in abiti usati. Oppure ci sono alcuni negozianti che raccolgono capi non indossabili e li vendono a società di riciclaggio tessile dove vengono trasformati in panni per la pulizia industriale o in fibre per fare nuovi vestiti.
Le magliette e le lenzuola tanto usurate possono essere trasformate in stracci.
I nostri capi più belli ma non più utilizzabili possono anche essere ricreati in una sartoria.
I capi d’abbigliamento che sono passati di moda possono essere vintage, li possiamo utilizzare noi o venderli ai negozi che commerciano in ottimi abiti usati. Oppure possiamo cederli a persone che ne hanno bisogno.
Compriamo eco-friendly
Iniziamo a partecipare attivamente a un cambiamento che parte dalle nostre piccole abitudini ma che può provocare un gigantesco miglioramento delle condizioni del pianeta. Informiamoci sulle aziende e sulle collezioni sostenibili. Iniziamo a scegliere sempre più spesso la moda etica e responsabile dello slow fashion. È arrivato il momento di modificare l’andamento dei comportamenti della moda e della produzione industriale.
Come è possibile quindi essere parte attiva di un cambiamento che oramai è necessario e urgente? La buona notizia è che possiamo fare qualcosa a riguardo. Come abbiamo visto possiamo iniziare a comperare di meno e fare acquisti di qualità maggiore che durino più a lungo nel tempo. Possiamo iniziare a comperare capi d’abbigliamento industriali prodotti con metodi rispettosi dell’ambiente. Possiamo riciclare e riutilizzare i capi d’abbigliamento. Possiamo avvalerci di una consulenza al guardaroba, questo servizio vi farà risparmiare tempo di gestione e denaro degli acquisti inutili o inadeguati, senza contare che avreste degli outfits impeccabili. Possiamo organizzare il budget e rivolgerci ad una buona sartoria che ci confezioni capi su misura.
Per i più esigenti ci sono le couture come la mia (sartorie di moda d’arte e di stile) che offrono un servizio completo e di qualità.
Troverete l’analisi e la gestione del guardaroba e dei vostri capi d’abbigliamento, la consulenza agli acquisti, lo studio del design personalizzato, la creazione di tagli d’abbigliamento adatti al fisico e alle necessità, la scelta di ottimi tessuti e la realizzazione sartoriale. Certo ogni capo costa sicuramente di più, ma potreste avere un guardaroba esclusivo che si adatta perfettamente alla vostra forma e alle vostre esigenze e avreste degli outfits ricercati, e mirati alle vostre necessità.
Se gestite il budget con intelligenza, nel tempo non solo avrete un guardaroba unico e invidiabile che vi valorizza realmente ma probabilmente spenderete come prima o poco di più, inquinerete meno della metà e costringerete le colossali aziende d’abbigliamento a rivedere le loro politiche di produzione. Ora vi lascio a organizzare, riordinare e rivedere il vostro guardaroba e se avete bisogno di me contattatemi.
Instagram: paulaelenaliguori